
In Italia lo studio condotto da Francesco Armillei, ricercatore alla London School of Economics, si basa sulle comunicazioni trimestrali delle aziende italiane pubblicate dal Ministero del Lavoro, che indicano ben 484 mila dimissioni “volontarie” nel trimestre Aprile - Giugno 2021, con un incremento del 37% rispetto al trimestre precedente e dell’85% rispetto allo stesso periodo del 2020. Il trend in crescita viene confermato anche dall’analisi della Banca d’Italia sul terzo trimestre di quest’anno.
Dai dati della stessa Banca d’Italia sappiamo anche che la temuta ondata di licenziamenti dopo la fine del blocco imposto dal Governo non c’è stata e tranne che in quei casi settori particolarmente colpiti dalla pandemia, anzi le previsioni sono per un recupero del tasso di occupazione supportato dalle prospettive di crescita economica e dagli attesi investimenti previsti nel PNRR.
Questa prospettiva, più favorevole rispetto al passato, potrebbe far pensare quindi alla disponibilità di impieghi di lavoro più interessanti dal punto di vista retributivo (l’Italia è l’unico Paese in cui il salario medio è sceso rispetto a 30 anni fa!) e delle possibilità di carriera. Non c’è dubbio in ogni caso che, come sta accadendo negli Usa, il fenomeno del job quitting è in crescita anche nel nostro Paese e pertanto vale la pena cominciare a fare qualche riflessione sulle sue cause.
Innanzi tutto penso che sia d’obbligo utilizzare il termine” dimissioni volontarie” tra virgolette perché sappiamo bene quanto possa essere forte l’influenza dell’azienda nell’orientare la decisione di un dipendente, ad esempio e nel migliore dei casi, tramite l’elargizione di un (congruo?) incentivo.
Negli USA hanno provato a capire i motivi per cui le persone stanno lasciando il posto di lavoro attraverso una ricerca su un campione di dipendenti che dopo aver lasciato la loro azienda hanno già iniziato a lavorare in una nuova realtà professionale. Un primo dato d’interesse emerso dalla ricerca è che la pandemia ha di fatto cambiato le aspettative e il modo con cui le persone vogliono lavorare.
Queste dichiarazioni riportano ai temi della così detta “YOLO (You Only Leave Once) Economy”, in cui i lavoratori si stanno spostando verso quei settori e realtà organizzative che hanno già da tempo avviato strategie di talent management e percorsi di carriera incentrati sulla soddisfazione e il benessere dei dipendenti. Contemporaneamente alle dimissioni volontarie stiamo assistendo in Italia all’incremento delle nuove partite IVA, in molti casi motivato dall’esigenza di mantenere piena autonomia nella gestione del tempo e del luogo da dedicare al lavoro.
Da queste prime indicazioni potremmo quindi considerare il trend delle dimissioni spontanee non come un fenomeno incontrollabile da subire, ma come l’opportunità delle aziende di evolvere, cambiando la concezione tradizionale del posto di lavoro.
Chiaramente ogni realtà lavorativa è differente ed ogni azienda potrà monitorare la situazione al proprio interno. Appare però evidente che in generale sta cambiando rapidamente la concezione del lavoro, soprattutto da parte dei giovani più talentuosi, che oggi non si accontentano più del posto di lavoro sicuro o di lavorare per un brand di successo, ma scelgono di fornire il proprio contributo fisico, emotivo e mentale a quelle aziende che sono in grado di ascoltare ed appagare i loro bisogni più profondi.
E’ questo il trend che anch’io sto monitorando dal mio (poco significativo) punto di osservazione: ricevo in modo crescente richieste di supporto per percorsi di coaching da chi un lavoro più o meno stabile ce l’ha, in aziende spesso di successo, ma nella quale vige una concezione di leadership inefficace ed antiquata.
Oggi le persone vogliono lavorare per quelle aziende in cui i responsabili sono in grado di creare una employee experience in grado di appagare le esigenze di ciascuno. Da parte delle aziende questo vuol dire innanzi tutto conoscere quanto sono soddisfatti e motivati i collaboratori.
In un precedente articolo (https://www.bluomega.it/blog/190-l-eccellenza-nell-employee-experience) ho accennato all’Employer Experience Score (EES) con cui le organizzazioni si possono misurare per capire qual è il livello di soddisfazione dei propri dipendenti.
Le domande investigano su temi come l’apertura e la disponibilità del management al confronto, la conoscenza e l’interesse verso le singole persone, i piani di sviluppo professionale e la capacità di valorizzare il potenziale individuale.
“Cerca feedback onesti e accurati ad ogni livello. Quando ascolti, impari. Inoltre crei le migliori condizioni per le persone che lavorano per te e con te. Ispiri fiducia e fedeltà.” Stephen Covey
Questa o altre indagini sul clima aziendale, quando vengono definite e condotte con intento di migliorare, forniscono rapidamente un quadro significativo dell’ambiente di lavoro e delle aree di miglioramento prioritarie su cui i vertici dell’azienda si devono concentrare. Ma soprattutto danno un messaggio importante ai collaboratori: la nostra azienda ci tiene a noi e al nostro benessere. Già questa consapevolezza potrebbe essere sufficiente per motivare e responsabilizzare le persone nel fornire il loro miglior contributo nel proprio ruolo.
Sarà poi il modo con cui tali informazioni verranno utilizzate a determinare se l’azienda merita o meno la fiducia dei lavoratori, o se invece è arrivato il momento di guardarsi intorno.